È una delle più antiche forme di scrittura al mondo, basata su raffigurazioni semplificate di oggetti comuni: il sistema geroglifico egiziano, tutt’oggi riscontrabile nelle iscrizioni monumentali come obelischi o piramidi, deve gran parte del suo fascino al mistero del suo significato. Sino alla fine del XVIII secolo, non vi era certezza di un effettivo sistema di scrittura, certezza che giunse solo nel momento in cui le armate di Napoleone, durante la campagna d’Egitto del 1799, trovarono la stele di Rosetta, una lastra di pietra che reca un’iscrizione in tre versioni: geroglifici egiziani, demotici e in greco. Fu poi il francese J. F. Champollion, a provvedere, nel 1822, alla decifrazione di detta stele e alla sua interpretazione.

Chiamati dagli Egizi “parole degli Dei” – e ribattezzati dai Greci “lettere sacre” o “lettere sacre incise” – i geroglifici egiziani rappresentavano la forma di scrittura ufficiale, riservata ai monumenti ed agli edifici religiosi e politici.

Rinvenuti sulle pareti dei templi e delle tombe dei faraoni, furono visti come “depositari” di quella sapienza e conoscenza mistica indispensabile per compiere il viaggio verso l’oltretomba, ma ad ostacolare la decifrazione del codice intervenne la convinzione, occidentale, che i caratteri del sistema geroglifico egiziano fossero simbolici, anziché fonetici. Ed alcuni ricercatori sostennero addirittura che ogni immagine rappresentasse un concetto astratto travalicante il linguaggio e connesso direttamente al pensiero. Ipotesi, queste, alquanto singolari, che contribuirono ad ammantare i geroglifici egiziani di un ancor più fitto mistero.

La scrittura egizia

Abbiamo or ora sottolineato come i geroglifici egiziani fossero la forma di scrittura ufficiale, prevista per i monumenti e gli edifici religiosi e politici. Il metodo adoperato quotidianamente dai sacerdoti, contemplante l’uso di papiro ed inchiostro, prendeva invece il nome di “scrittura ieratica”, una scrittura ove le rappresentazioni pittoriche erano costituite da linee dritte e curve. La “scrittura demotica”, infine, più simile al corsivo, costituiva una forma più semplificata di quella ieratica, e dunque più agevole e veloce della precedente.

Generalmente la scrittura geroglifica procedeva da destra verso sinistra, ma anche da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso: il verso di lettura era indicato dalla direzione dei glifi. Non vi erano spazi né segni di punteggiatura tra le parole.

Due erano essenzialmente i tipi di geroglifici egiziani: i logogrammi, semplici disegni evocanti un oggetto, adoperati per i nomi più comuni, ed i fonogrammi, simboli fonetici rappresentanti un suono, come in quasi tutti gli alfabeti.

Composto per la maggior parte da segni fonetici seguiti da un determinativo, il sistema geroglifico egiziano rappresentava i numeri in maniera superficiale e non prevedeva vocali, considerate lettere mortali, ma simboli24 – che, associati alle consonanti, dotate invece di immortalità, sarebbero stati sufficienti a formare tutte le parole dell’alfabeto egizio: purtroppo però, gli Egizi continuarono ad aggiungere centinaia di altri segni e logogrammi, cosa che fece del sistema geroglifico di questo popolo un sistema molto complesso, che non si tramutò mai in un vero e proprio alfabeto.

I simboli geroglifici egiziani

Come poc’anzi anticipato, i caratteri principali (simboli per ciascun fonema) adoperati dagli Egiziani erano 24. Ad essi andavano poi ad aggiungersi segni bi e triconsonantici (con due o tre consonanti), che davano il suono di intere parole, segni che fornivano il suono di intere parole (fonogrammi) o indicavano idee e concetti (ideogrammi), e ancora segni utilizzati come determinativi (che determinavano il soggetto della frase) e rafforzativi (che rafforzavano il soggetto della frase). Per un totale di più di 800 caratteri.

L’utilizzo di così tanti caratteri richiedeva anche una certa abilità nel disegno, ragion per cui la lunga formazione necessaria conferiva agli scribi pregio e considerazione.

Il supporto adoperato era una speciale carta ricavata dalla pianta del papiro: le fibre estratte dalla parte più morbida delle sue canne venivano intrecciate, così da ottenere un foglio steso al sole ad essiccare.

Il simbolismo egiziano

All’interno della multiforme cultura egiziana troviamo tanti ed antichi simboli – alcuni dei quali facenti parte delle iscrizioni rinvenute nelle tombe dei faraoni – che tutt’oggi, nell’immaginario collettivo, conservano un innegabile fascino. Di particolare importanza, sia nella vita di tutti i giorni, che nel culto degli dei, ne consideriamo diversi nei paragrafi che seguono.

Akh, Ka e Ba

La lingua egiziana non annoverava una parola corrispondente alla concezione cristiana dell’anima, cioè di elemento spirituale immortale, per cui ciascun individuo era costituito da tre elementi spirituali: l’Akh, il Ka e il Ba.

Emblema di una forza interiore che consentiva all’uomo, attraverso un lungo lavoro su sé stesso, di “ri-accedere” alla coscienza spirituale, portando l’anima a ritornare alla divinità, l’Akh era rappresentato dall’ibis, un uccello dal becco molto lungo. Dal punto di vista gerarchico, costituiva il grado maggiore, attribuito inizialmente solo agli dei ed al faraone, e solo in un secondo momento ai comuni mortali.

Espressione delle energie vitali che ogni essere possiede, il Ka raffigurava l’elemento di unione tra il corpo fisico ed i principi spirituali di ordine superiore, ossia l’Akh e il Ba. Era un termine adoperato sovente in relazione alla morte, essendo la forza che consentiva di continuare a vivere dopo la morte stessa, conducendo, nell’aldilà, un’esistenza simile a quella terrena. Il Ka, dunque, necessitava di continua “alimentazione”, e a tale scopo le statue contenute nel serdab (struttura presente nelle tombe dell’Antico Egitto formata da una camera destinata alla statua rappresentante il Ka del defunto), ricevevano cibo, bevande e fumigazioni, quali offerte al Ka del defunto.

Nell’uomo comune il Ka si manifestava solo dopo la morte, mentre nel faraone già nel corso della sua vita, seguendone la curva ascendente, ed infatti era raffigurato sia come fanciullo che come adulto, mai come vecchio: il suo simbolo sono due braccia alzate.

Paragonabile alla nostra anima, il Ba permetteva al defunto di “uscire alla luce del giorno”; simboleggiato da un uccello con testa umana, necessitava di rigenerazione come il Ka, ed infatti lo si trova raffigurato nei papiri funerari e sulle pareti delle tombe nell’atto in cui si ciba dei frutti dell’albero sacro.

Ankh

Simbolo della vita, l’Ankh è costituito da una T che al centro della barra orizzontale ha attaccato un cappio ovoidale. Questo geroglifico esprimeva la forza divina, la vita eterna e i fluidi vitali. Molte divinità sono rappresentate con in mano questo simbolo, indicante il potere di dare la vita e di preservarla, ma anche di toglierla.

Talora l’Ankh presenta braccia umane che sostengono il disco solare oppure uno stendardo sacro.

Avvoltoio

Simbolo della dea Nekhbet, divinità tutelare dell’Alto Egitto, o della dea Iside, l’avvoltoio, tra i simboli egiziani, era rivolto alla protezione del re. Ciò spiega il motivo per i quale molte raffigurazioni recano un avvoltoio sospeso con gesto protettivo sopra il faraone.

Un avvoltoio sugli architravi che ha tra gli artigli il segno shenu, emblema dell’eternità, ne chiarisce invece la simbologia legata al culto dei morti.

Akhet

Tradotto con i termini “orizzonte” o “montagna della luce”, l’Akhet rappresenta il luogo ove il sole sorge e tramonta; è un simbolo egiziano simile ai due picchi del Djew o simbolo della montagna con il disco solare al centro.

Amenta

Tra i simboli egiziani, l’Amenta rappresenta il mondo sotterraneo o la Terra dei Morti. Originariamente indicante l’orizzonte del tramonto, divenne in un secondo momento simbolo della riva occidentale del Nilo, ove tramontava il sole e ove gli antichi Egizi seppellivano i defunti.

Djed

Colonna con quattro barre, tra i simboli egiziani il pilastro Djed era il simbolo di culto dei antichi seguaci di Osiride, il cui significato non è ancora del tutto chiarito. Probabilmente raffigurava un albero a cui furono tolti i rami, un cedro della Siria o del Libano che i seguaci di Osiride portarono dalla loro patria e per il quale chiamarono la loro città Djedu (più tardi Busiris).

Emblema della forza derivante dal grano, e dunque appartenente ai riti agrari della fertilità, il Djed assunse successivamente il significato della stabilità e paragonato alla colonna vertebrale di Osiride.

Djew

Il Diew rappresentava nel simbolismo egiziano una montagna, una catena montuosa cosmica che aveva sollevato il cielo, caratterizzata da due picchi: Manu, il picco occidentale, e Bakhu, il picco orientale. Ciascun picco era sorvegliato e controllato da una divinità leone, incaricata di proteggere il sole che sorgeva e tramontava.

La montagna simboleggiava inoltre la tomba e l’aldilà, forse in considerazione del fatto che la maggior parte delle tombe egizie si trovava nella terra montagnosa al confine con la valle del Nilo.

Piuma di Maat

Tra i simboli egiziani, Maat rappresentava la verità, l’armonia, la giustizia, la moralità e l’equilibrio: personificata come una dea antropomorfa, con una piuma in capo, era inoltre responsabile della disposizione naturale delle costellazioni, delle stagioni, delle azioni umane e di quelle delle divinità, nonché propagatrice dell’ordine cosmico contro il caos. Aveva un ruolo di rilievo anche nella pesatura delle anime, in quanto la sua piuma rappresentava la misura per determinare se l’anima del defunto avrebbe raggiunto o meno l’aldilà.

Spesso raffigurata in piedi sulla barca solare o seduta su un trono nella sala del giudizio, tra le mani Maat teneva lo scettro di papiro e l’ankh (simbolo della vita).

Bastone ricurvo e flagello

Simbolo di regalità, maestà e potere, raffigurante la guida (bastone ricurvo) del faraone nei confronti del popolo, e la forza di mettere in atto i propri comandi (flagello) a costo di punizioni.

Scarabeo

Espressione di vita e di morte, di rinascita e di rigenerazione, e collegato alla divinità solare, lo scarabeo deve il suo simbolismo al modo di vivere che gli è proprio. Questo insetto, difatti, trasporta una pallina di sterco che reperisce nei suoi spostamenti, “conducendola” nella sua tana. Qui deporrà un uovo, da cui nascerà un nuovo esemplare.

Osservando le abitudini dello scarabeo, gli Egizi avevano rilevato un collegamento con la vita umana: il cadavere seppellito nella terra porta con sé già un nuovo “uovo-spirito”, che rinascerà in un’altra vita nell’aldilà.

Fiore di Loto

Pianta araldica dell’Alto Egitto, il fiore di loto nell’antichità simboleggiava il sole, la rinascita, e la vita eterna, nonché la stabilità e la durata.

Uno dei diversi amuleti capaci, per gli Egizi, di attrarre il bene e di tenere lontano il male, il fiore di loto, in base ad alcune leggende legate alla creazione, fu il primo fiore a nascere dal caos primordiale.